domenica 12 novembre 2017

Valparaiso , mi amor



Dicevano le guide turistiche che quella città non era stata fondata da qualcuno. Una ad una erano nate le mura arrampicate che cercavano di sfiorare il cielo con i fumi dei camini. Poi la vita, e cioè, il fracasso quotidiano delle pentole e dei bambini che giocano, il rumorio delle donne, il ritmico colpire dell’acqua contro le vasche di legno usate per lavare i panni nei cortili, la musica messicana e i tanghi che uscivano da tante radio sgangherate e rauche. Il mercato, il porto, la stazione, la fioraia, il ciabattino, l’ambulante che sistemava ombrelli vecchi, reti e materassi. L’uomo che comprava scarpe e vestiti usati, bottiglie e giornali. Il carretto con il ghiaccio, il lattaio, il ragazzo che fabbricava con maestria una fionda, l’altro che giocava con un cerchio.

Il giorno che era arrivato li non sapeva - e non poteva neanche immaginare - che si sarebbe trattato di una seconda nascita. Tanto meno sapeva che le seconde nascite esistevano. Non immaginava che avrebbe conosciuto e si sarebbe costruito una propria libertà fatta da regole condivise e volute, che avrebbe vissuto il miracolo di un sorriso, scoperto la notte, le parole del silenzio, che sarebbe stato in grado di sorprendersi, che la curiosità sarebbe stata una condotta permanente e che tutto ciò gli sarebbe sembrato naturale e necessario... e così per molto tempo.
(fine delle illustrazioni per "la Città del vento")

martedì 7 novembre 2017

i Beatles e la chitarra verde


 
Il ritrovamento di queste illustrazioni e la decisione di condividerle in questo blog mi ha permesso di rileggere il mio “eterno racconto” nel tentativo di estrapolare i frammenti più adatti e devo confessare che sono stato in grado di rinunciare, per adesso, alla grande tentazione di rimetterci ancora le mani.
La prima pensione dove vissi era una babele difficilmente dimenticabile. Oltre agli studenti soggiornavano dei pugili, per lo più mulatti brasiliani arrivati da sperdute favellas  in attesa di combattimenti in programma ogni sabato con l’illusione di vincere il titolo (ed il denaro) in palio. Intonavano languide melodie colpendo qualsiasi barattolo trovassero a portata di mano, li trovavi per i corridoi salticchiando con la corda per allenare le gambe. Oppure “l’ingegnere” spagnolo che dirigeva alcune manutenzioni del sistema telefonico in città che, volendo cenare con la musica chiamava spesso, a pagamento,  un chitarrista perché suonasse mentre consumava la cena, oppure la dolce signora, del mestiere incerto, che dovendo dormire di giorno si lamentava della grande confusione. Riuscire a studiare era una vera impresa ma la nostra vita era fantastica.

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Carlitos, il suo compagno di stanza, pallido e magro anche lui, naso appuntito e capelli lunghissimi, figlio unico e sempre innamorato, suonava a tutte le ore, instancabilmente, melodie dei Beatles, con una chitarra verde di fabbricazione brasiliana seduto nel wc che, diceva, era l’unica stanza con un’acustica appropriata.
Mario disegnava da sempre un’interminabile linea terra–mare-aria  senza sapere se era veramente quello che aveva chiesto il suo professore di urbanistica. Di notte, sempre di notte, costruivano piccole case di cartone da porre su di una striscia di cartone, erigendo così un modello lungo l’intero corridoio. Tanti anni dopo un amico, colto e incisivo, a proposito di certi progetti e programmi, inserì in un suo discorso questa citazione:
“… il Re chiamò i saggi del regno e chiese una mappa dei suoi possedimenti. Questi la fecero, ma il Re chiese loro una più dettagliata. Loro provvidero, ma al Re non bastò neanche questa e chiese molte volte molti più dettagli, finché un giorno si ritenne soddisfatto, soltanto che la mappa era diventata più grande del regno stesso” … e cioè quasi quanto era successo con la linea terra–mare-aria di Mario.
Julio, eternamente depresso, ripeteva fino alla noia, per memorizzarli, gli articoli del Codice Civile aggiustando la cadenza a quella della metrica dell’inno nazionale.

lunedì 6 novembre 2017

A pensione nella Città del vento



 
Molte volte mi sono domandato cosa sarebbe stato di me se non avessi fatto l’università fuori sede, proprio lì nella Città del Vento e ho sempre concluso che era meglio non darsi una risposta definiva perché esiste la possibilità che sarei diventato uno di quelli che a me oggi non piacciono. In 5 anni di università sono stato in una decina di pensioni, 3 appartamenti condivisi e 2 studentati, oltre a una infinità di case e appartamenti che mi ospitarono gli ultimi due mesi quando vivevo in una mezza clandestinità. Di tutti quei luoghi conservo ricordi sbiaditi eccetto del primo che ricordo benissimo. La pensione della Signora Ida: piccola e bruta, con il labro leporino e l’amante tassista, molto gelosa, materna, generosa, lavoratrice.

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Francisco Manuel Avila della Fuente era arrivato all’Università, “fuori sede”, e aveva preso alloggio in una modesta pensione per studenti proprio nel centro della Città del vento.  Anni dopo, ormai in Europa, cercando di ricostruire quei giorni, frequentemente  gli emergeva il ricordo di aver avuto allora un'epidermica paura della solitudine. La percepiva come quella specie di brivido che si sente scorrere nel corpo quando gli altri passano senza avvertire la tua presenza. Gli sembrava che la paura della solitudine fosse stata la sensazione principale, allora, mille anni fa, quando guardava dalla finestra di un quinto piano, in una stanza che adesso capiva essere stata spoglia e povera, sicuramente oscura e anche triste. Gli venivano in mente anche i muri grigi, un sottile odore di muffa, la lampadina di poche candele, quasi gialla, il pavimento di tavole oscure e lucide di cera, un letto scricchiolante ed incurvato. Erano state tante le ore passate con il naso attaccato ai vetri guardando il semaforo, la piazza e la sua fontana con i leoni dipinti di rosa in qualche goliardica “serata da leoni”, appunto. Poteva vedere il bar dell’angolo, il palazzo di fronte con la ragazza bruna che guardava da un’altra finestra come lui, la pioggia o il sole, le macchine, le biciclette, i carretti tirati a mano e tante persone che semplicemente transitavano in fretta in ogni direzione. (da La Città del vento bozza n°2)

 
 

sabato 4 novembre 2017

Autoritratto


 
Anni fa, parecchi anni fa, mi avevano prestato  un piccolo portatile Macintosh quando gli utenti Mac erano una ristretta élite quasi, o del tutto, radical scic. Un amico mi istallò un programma di grafica e mi sono divertito ad imparare quello che allora per me era uno strumento sorprendente.
Contemporaneamente scrivevo, come continuo ad scrivere da circa trent’anni, un complicato racconto lungo o semplice romanzo corto – fate voi – sempre rimasto nel cassetto ed ora sepolto in qualche cartella del computer, che trattava delle mie giovanili vicissitudini para politiche ed esistenziali. Quindi decisi di dedicare le mie esercitazioni con la nuova app. grafica alle illustrazioni del “best seller” in preparazioni. Il testo è stato modificato mille volte, a dir poco, ma il nome è rimasto sempre quello: “La città del vento”.
Si come sembra che viviamo un periodo di ritrovamenti più o meno fortunati (vedi le fotografie di Mario Aguirre nel post precedente), ordinando alcune carte ho trovato i disegni stampati in alcuni fogli ormai un po’ ingialliti. Certo ormai che il racconto non  goderà mai delle dolce carezze dei rulli di una macchina di stampa e tantomeno il clamore di una pubblicazione ho deciso di condividere su Condoricose, a puntate, alcuni disegni corredati da qualche breve nota. Ecco il primo.

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Sembrava che a Francisco Manuel Avila della Fuente piacesse fare la parte dello studente povero, solo, pensieroso, naturalmente pallido, con i capelli lunghi, immerso in un pullover esageratamente lungo da dove spuntavano i jeans scoloriti irregolarmente e a “zampa d’elefante”, sempre con tanti giornali e libri sottobraccio. (da La città del vento, bozza n° 463)

domenica 1 ottobre 2017

Con una birra cambiando il mondo

 
 Rientrato dallo Zambia ho trovato nella mia posta elettronica 50 fotografie scattate tra il 1970 e il 1973 da un mio caro amico: Mario Aguirre Montalto, fotografo dalla nascita. I soggetti riguardano tutti l’attività e le persone di quello che era, in Cile, il mio Partito (il Mapu). Arrivato il colpo di stato nel settembre del 1973 ebbe cura di nascondere i negativi ben protetti e sigillati. Oggi li recupera e ce ne fa omaggio. Grazie Mario.
La foto è stata scattata quasi sicuramente in una bettola di nome “Las cacha’ grande” (le porzione grosse), sedicente bar ristorante, che era situata di fronte alla mia università. Lo scatto ritrae da sinistra a destra Luis Spoerer Herrera, il sottoscritto, Marcelo Contreras Nieto e di spalle Maximo Valdivia Veas. Quattro carissimi amici e compagni rimasti tali.
Intorno ad una birra, senza ombra di dubbio discutiamo vivacemente di come cambiare il mondo, il fatto è che per un periodo in parte lo abbiano fatto, ma alla fine siamo stati sconfitti. Luis, da sempre appassionato di sicurezza mi proteggeva come si protegge un figlio, emigrò e si è sempre occupato di turismo, tornato in Cile oggi trasmette le sue conoscenze in una università. Marcelo, il nostro leader naturale, rimase a Santiago a resistere, diresse una rivista, l’unica di opposizione alla dittatura e ovviamene era “accompagnato” in galera assiduamente, oggi dirige una fondazione che si occupa di analisi economica e politica dell’area sudamericana. Maximo, un bravo grafico e comunicatore che si occupava tra le altre cose, della propaganda delle mie campagne elettorali, fu espulso, come tutti noi, in quanto studente ma non da impiegato dell’università dove nel contempo lavorava e lavora fino ad oggi, misteri della tirannia. Mario, il fotografo, psicologo s’impegnò clandestinamente in politica per combattere la dittatura, fece una brillante carriera accademica fino a diventare Rettore di una Università privata nel nord del Cile, per poi litigare e dimettersi visti i loschi affari della proprietà, oggi nella sua casa di Quilpuè, ha installato un biliardo dove trascorre le ore che le rimangono libere dal suo impegno nel riscatto della cultura nelle zone minerarie del paese. Io: ieri sono tornato dalla Zambia.

giovedì 28 settembre 2017

Appello urgente

Pubblico qui quanto inserito oggi su FB, prima del nostro rientro dallo Zambia, vi prego di leggere, di condividerlo e per il resto... al vostro buon cuore


APPELLO URGENTE

A te che hai seguito la missione di Liberato Zambia 2001 Onlus e dimostrato interesse, ora ti chiediamo di aiutarci. Abbiamo urgente bisogno di sostituire l’auto, indispensabile per la lotta alla malnutrizione infantile. Dobbiamo anche intervenire sui fatiscenti centri nutrizionali che ospitano i bambini. Ti chiediamo di condividere con noi questo impegno. Abbiamo bisogno di uno sforzo straordinario. Di  seguito, il link con i riferimenti per eventuali versamenti (causale: SOS progetto Yola Yoli). Ogni cifra per noi è preziosa. Grazie.


mercoledì 27 settembre 2017

Cimuga, Amico mio


Cimuga


Cosa ti porti in dietro dal cuore dell’africa? Per prima cosa i sorrisi dei bambini, poi, i tramonti, le ondeggianti strade di terra rossa, il caldo, il senso di ospitalità delle suore, l’attenzione e serietà di queste quando si parla dei nostri progetti, i problemi che abbiamo risolto, i tantissimi nuovi problemi che cercheremmo di risolvere, le cifre del denaro che dovremmo raccogliere con un’azione straordinaria, i mercati di surreale disordine, le donne che camminano e camminano sulle strade polverose, i colori, le serate di discussione all’interno del gruppo, le idee per il lavoro in Italia, l'elenco delle  ristrutturazioni urgenti delle strutture dove operiamo, la povertà, la fame, l’immondizia ai bordi delle strade, la mancanza di igiene nelle strutture sanitarie, i bambini e i ragazzi che in divisa camminano e camino per andare a scuola, i piedi scalzi, il bambino di 3 anni che mangia seduto per terra e che con una mano difende il suo piatto e con l’altra intinge una palina di polenta nel succo della verdura cha ha appena terminato, i frequenti chek point della polizia, la frontiera con il Congo, la gestualità dei saluti e dei ringraziamenti, la trasparente devozione dei fedeli a messa la domenica, la musicalità ed il ritmo, la madre con due bambini vestiti a festa che hanno camminato 2 ore per parlare con noi sull’adozione a distanza, i leccalecca che regaliamo ovunque andiamo e che ai bambini piace tanto, la donna che ci accudisce e che a sorpresa ci fa trovare i panni lavati e stirati, la notizia che alcuni giorni fa sono morti due bambini principalmente per denutrizione, l’indignazione per questo, l’indignazione perché so che ci sono quelli che non si indignano, l’improbabile “aeroporto internazionale di Ndola”, l’allegria di alcune giovanissime suore francescane. Il generoso rigore di Davide, l’amicizia di Giulia e Alessandra e la serietà di Claudio che qualche anno fa mi invitò per la prima volta in Zambia. Ma soprattutto mi porto nel cuore Cimuga, il bambino che nel tardo pomeriggio mi aspetta sorridente e che quando mi vede, zoppicando si avvicina, mi prende per mano e mi fa vedere il suo collegio, il cortile dove gioca, il luogo dove si nasconde, lo stanzone dove dorme.  Cimuga che quando vado via si intristisce.

lunedì 25 settembre 2017

Nella linea di confine


Il tempo passa, il tempo passa sempre e quindi, si inizia ad avere la preoccupazione di poter individuare in quale posto della memoria profonda si stanno accumulando le emozioni, conoscenze, le certezze ed i dubbi di questi giorni. Sicuramente tutto ciò non andrà perso ma, la cosa importante è che riaffiorino al momento giusto. Non parlo dei futuri racconti che farò alle persone che amo o stimo, in quel senso vado sempre come un treno; parlo piuttosto degli atteggiamenti quotidiani che avrò in quella mia società del benessere e dello spreco, dove mi è capitato di vivere. Voglio dire che sarà importante verificare se la presenza, più o meno latente, di quei ricordi modificheranno o meno quei atteggiamenti.

Sicuramente, al mio ritorno in Italia dopo questo viaggio nel cuore dell’Africa, soprattutto nei primi giorni, constaterò la riduzione della mia capacità di sopportazione, quando al supermercato, assisterò alle insistenti richieste di qualche bambino maleducato perché la madre le compre un “ovetto Kinder”. Ma questo non è molto preoccupante, si supera. Il dramma sarà quando meccanicamente accenderò il televisore e ascolterò, dopo 12 giorni, il telegiornale con le ultime sulla immigrazione. Quello sarà un problema.

Oggi siamo stati a Kasumbalesa, proprio il posto di frontiera con il Congo. Un naturale set cinematografico sull’Africa della sopravvivenza. Lungo la strada, una miriadi di improbabili commerci a disposizione dei Congolesi che trovano conveniente comprare in Zambia, migliaia di persone in attesa di poter vendere una bottiglia d’acqua, un paio di scarpe di plastica o quattro pomodori, un numero indecifrabile di camion diretti a nord, la sensazione che molti degli spedienti per vincere la fame conducano alla violenza. E allora uno si domanda com’è che la settimana scorsa non sono sbarcati in Italia quindici o venti milioni di immigrati?

Evito qualsiasi disquisizione politica o economica sulle cause della Situazione in Zambia o in quasi tutti i paesi di questo continenti, mi domando soltanto con quale alambicco cerebrale continuano a distinguere tra rifugiati politici o per motivi umanitari e richiedenti asilo per motivi economici. Ma non sarebbe il caso che qualcuno espliciti, dal pulpito del video, una qualche distinzione tra "tentativi di esportazione della democrazia por motivi elettorali" e "saccheggio delle risorse naturali per motivi, anche questi economici".

Vado a dormire. Domani penseremo a come raccogliere 20.000 euro per comprare una macchina che assolutamente serve a salvare dalla denutrizione alcune bambini. Basterebbe uno.

venerdì 22 settembre 2017

Prima di mangiare… lavarsi le mani




 
Prima di mangiare... lavarsi le mani

Un pasto al giorno...


Se l’intensione fosse descrivere la povertà, sarebbe facilissimo diventare patetici. Comunque dopo l’esperienza di oggi è difficile fare finta di niente.

Abbiamo visitato il “Centro Nutrizionale” di Fisenge, dove come in altri posti simili, le Suore Missionarie Francescane di Assisi distribuiscono un pasto al giorno.

Ci siamo trovati con la solita presenza di un centinaio di bambini, scalzi (alcuni hanno le scarpe ma preferiscono non usarle), mal vestiti (o con semplici stracci) e soprattutto abbastanza sporchi.  Al nostro arrivo hanno intonato delle canzoni, con il ritmo loro e belle voci. Poi abbiamo cercato di divertirli un po’ e ci siamo divertiti altrettanto noi.

Le suore hanno stabilito il costume che prima di mangiare e buona cosa lavarsi le mani, cosa che si verifica attingendo acqua da un bidone con una tazza di plastica e versandola sulle mani di 2 o 3 bambini   per volta. Loro fanno il gesto di sfregarsele con molta serietà e compostezza. Il rito è così consumato.

Dopo una suora dispone i bambini in due file, in una i più piccole e nell’altra i più grandi.

Si pranza: prima entrano i piccoli (fino 7/8 anni) poi gli altri se, e soltanto se, quanto preparato basta per tutti, in caso contrario, quelli grandi se ne vanno a “casa” senza mangiare (a volte succede).

Ho avuto la “brillante” idea di entrare nella sala mentre mangiavano. Il pasto: una porzione di nshima (polenta di farina di mais e acqua), due o tre cucchiai di cavoli cotti. Punto. 6 o7 bambini hanno rischiato di non mangiare ma dopo, grattando il fondo del pentolone, è bastato per tutti. Per molti di loro è l’unico pasto della giornata.

Dopo qualche minuto sono usciti nuovamente nel cortile sterrato a giocare e a salutarci quando partivamo… ridendo e correndo dietro il nostro pulmino.

Alcuni di loro sono stati trattati con l’integratore che noi qui fabbrichiamo
(Yola – Yoli) perché la denutrizione era stata avvertita dalle nostre infermiere (progetto GRAND). Risultato: oggi corrono dietro il furgone con la faccia sporca ed i piedi scalzi.

Ecco tutto, senza aggettivi. Cronaca, pura cronaca.

Obiettivi:

1)   Aumentare la produzione dell’integratore (altri 200 o 300 kg al mese): costo da aggiungere a quanto già si spende, 6.000 euro anno.

2)   Contribuire nel miglioramento delle strutture (acqua pulita, latrine, tettoie  da sistemare, ecc): costo iniziale 10.000 euro

3)   Cambiare la Jeep in uso nei due progetti (perché dopo 9 anni di onorato servizio per queste strade è ormai arrivata alla fine): costo 25.000 euro


Tutto ciò se qualcuno ci aiuta ad aiutare.





                                                                                                                        

giovedì 21 settembre 2017

Lo Zambia ci sorride



Conclusa la prima giornata di questa incursione africana, siamo seduti in torno ad un tavolo (e con una birra a portata di mano), ogni uno a tirare le proprie somme. Chi scrive, chi usa Facebook, chi whatsup. Io torno al mio caro Condoricose
Percorrere nuovamente questo territorio è ancora una emozione forte,
Dopo un lungo e “pesantino” viaggio siamo arrivati al “Aeroporto Internazionale di Ndola” (una piccola capanna con il tetto di onduline (in Cile si dice “di fonola”).
Ricevuti, come al solito, da una suora che sorridente agitava le mani abbiamo iniziato il nuovo percorso. A cena, ieri, abbiamo fatto il punto sul nostro programma e da oggi si fa sul serio.
Il caldo è stato consistente e anche se non è la prima volta che visito questi luoghi, i sorrisi dei bambini non sono una cosa già vista. Sono un carburante che ti aiuta ad andare avanti con tutto l’entusiasmo del quale sei capace.
La nostra è una piccola associazione di volontari che dispone di modeste risorse finanziare raccolte in Italia con non poca fatica. Quindi valutare e soprattutto  dover scegliere gli interventi che porteremmo avanti è compito difficile. Molto difficile.
Arrivati in un posto nel gruppo  scatta una sorta di “naturale” divisione tecnica del lavoro, alcuni pensano ai lavori da fare sulle strutture, ad intuire i costi e i tempi, a fotografare, a pensare possibili soluzioni. Altri, e tra questi io, ci dedichiamo a vivere con queste centinaia di bambini, a giocare, a ridere, a fare amicizia. E’ lì che da una tasca salta fuori il naso rosso da clown ed il tutto si conclude con una grande e collettiva “carcajada” (risata). E’ così. E proprio lì che i soldi passano in secondo piano certi di aver contribuito ad un piccolo, anche se breve, momento di felicità. Andiamo avanti e siamo soddisfatti.

venerdì 15 settembre 2017

Anteprima 4 (ultima)


In attesa di un pasto presso un Centro Nutrizionale
Per  completare il quadro, ecco una sintesi del nostro attuale impegno.
 
Progetti in corso di realizzazione
Nell’area d’intervento sono presenti 11 Centri Nutrizionali dove migliaia di bambini si recano giornalmente per ricevere un pasto sicuro, somministrato dalle Suore Francescane Missionarie di Assisi. 
I Progetti di Liberato Zambia si rivolgono ai bambini che frequentano i Centri:
Lotta alla Malnutrizione infantile
Progetto GRAND (Growth And Nutrition Development)  - Alcune infermiere effettuano visite periodiche  nei vari Centri Nutrizionali per verificare lo stato di crescita dei bambini. Nei casi di malnutrizione o denutrizione viene approntato un programma terapeutico con la somministrazione giornaliera di un Integratore Alimentare ad alto valore nutritivo (Yola-Yoli). I casi più gravi vengono deferiti all’Ospedale.
Progetto YOLA-YOLY (Your Land is Your Life) - Laboratorio per la produzione in loco di un Integratore Alimentare ad alto valore nutritivo, a base di arachidi, olio, zucchero, latte in polvere, sali minerali e vitamine. Il laboratorio produce mediamente 400 Kg di Integratore al mese. Le richieste sono in aumento, provenienti anche da altre realtà e quindi è nostra intensione, in questa missione, riorganizzare il tutto e provvedere ad aumentare la produzione a 700/800 kg al mese.
Progetto WA.S.H (Water and Sanitation Health) un programma di miglioramento delle infrastrutture dei Centri Nutrizionali che accolgono i bambini (acqua pulita, latrine, punti di cottura e stoccaggio dei cibi) e di educazione socio sanitaria.

Adozioni a Distanza
Ogni anno 100 bambini orfani ricevono un contributo di 300 euro per continuare il loro percorso di studio. Ogni anno 100 famiglie anconetane ricevono foto, letterine, pagelle dai loro piccoli amici.

Liberato Zambia 2001 sostiene anche l’acquisto annuale di cibo di un Centro Nutrizionale e una casa Famiglia.

Progetto di sensibilizzazione e comunicazione
Alcune nostre volontarie vanno nelle scuole della Provincia di Ancona  per sensibilizzare i ragazzi sui valori della solidarietà e del volontariato, dell’impegno civile e della cooperazione. Partecipano ai mercatini della solidarietà e iniziative varie. Il ricavato viene destinato alle scuole zambiane per l’acquisto di computers, piccole manutenzioni, materiale di consumo, ecc.
Proponiamo campagne di comunicazione (a costo "0") per promuovere il valori della cooperazione internazionale e del volontariato e per stimolare le donazioni che permettono la nostra azione in Africa. Produciamo una New letter inviata via mail ai nostri sostenitori, proponiamo mostre fotografiche, convegni, materiale informativo cartaceo e teniamo aggiornate la nostra pagina Facebook e il nostro sito web.

giovedì 14 settembre 2017

Anteprima 3

Foto: Giorgia Bini
Tra oggi e domani cercherò di completare l'informazione generale visti i non pochi lettori che hanno avuto la pazienza di seguire questo mio blog e che ringrazio

Progetti realizzati

In questi anni di attività Liberato Zambia 2001  ha realizzato:
> 6 unità di diagnostica radiologica  ed ecografica presso:
St.Theresa Mission Hospital” ad Ibenga (Luanshya), “Thompson Hospital” a  Luanshya, “Arthur Davidson Pediatric Hospital” a Ndola, “St. Joseph Mission Hospital” a Kitwe, “St. Mary’s Mission Hospital” a Kitwe, “Italian Zambian Othopedic Hospital” a Lusaka.
> 4 sale operatorie presso:
“St. Theresa Mission Hospital” a Ibenga (Luanshya), “Thompson Hospital” a Luanshya, “St. Joseph Mission Hospital” a Kitwe, “St. Mary’s Mission Hospital” a Kitwe.
> 5 laboratori analisi presso:
“St.Theresa Mission Hospital” a Ibenga (Luanshya), “Thompson Hospital” a Luanshya, “Arthur Davidson Pediatric Hospital “ a Ndola, “St.Joseph Mission Hospital” a Kitwe, “St. Mary’s Mission Hospital” a Kitwe.

> Ha inviato farmaci, incubatrici, materiale sanitario  di consumo e tecnico.
> Ha collaborato con l’Università di Ancona  per la somministrazione della terapia antiretrovirale alle donne in gravidanza per la prevenzione della trasmissione materno fetale di HIV (2003-2005).
> Attraverso il sistema delle “Adozioni a Distanza” personalizzato, ha permesso a centinaia di bambini orfani di completare il percorso di scolarizzazione.

Chi sono i nostri partners
Liberato Zambia 2001 ha collaborato con diversi partners, tra i quali:
Franciscan Missionary Sisters of Assisi – Province of Zambia
Carità senza Confini di San Marino
Ospedali  Riuniti di Torrette di Ancona
Università Politecnica delle Marche

mercoledì 13 settembre 2017

Anteprima 2



Qualche notizia sulla nostra associazione credo sia utile. 
Quindi in questa anteprima 2, alcune righe su chi siamo, e dove operiamo. Durante la permanenza in Zambia arriveranno le notizie sul "cosa facciamo" .
Chi Siamo
Liberato Zambia 2001 è un'associazione di volontariato e solidarietà internazionale, nata nel marzo del 2001, al fine di  contribuire al miglioramento delle condizioni sanitarie e sociali di una realtà estremamente povera dell’Africa, conosciuta grazie ad un’esperienza di adozione a distanza di bambini orfani. Oggi l’associazione è particolarmente attiva nella lotta alla malnutrizione infantile e in piccoli progetti di sviluppo locale.
Dove operiamo: lo Zambia
Popolazione: 14,5 milioni (2013)
Struttura per età:  0-14 anni: 46.3%  -  15-64 anni: 51.3%  - oltre i 65: 2.4% 
Età media: 16.5 anni
Mortalità: 19,93 decessi/1.000 abitanti    -  Mortalità infantile: 86.84 decessi/1.000 nascite
Aspettativa di vita:  37 - 40  anni
Reddito medio annuo pro-capite: USD 395
Popolazione con HIV/AIDS: 1,1 milioni 
Area del nostro intervento  
La Provincia del Copperbelt, nel Nord dello Zambia
Popolazione: 2.000.000 di ab.
Mortalità entro il 1° anno: 11,2%
Mortalità entro il 5° anno: 20,2 %
Popolazione in povertà assoluta: 84% (chi vive con meno  di USD 1 al giorno)
Presenza di medici: 7 ogni 100 mila abitanti

Nella mappa (parte della Provincia del Copperbelt) è indicato con la linea rossa  il percorso principale dei nostri spostamenti.

martedì 12 settembre 2017

Si riparte per lo Zambia (anteprima)


Li ritroverò?
Tutto pronto per una nuova esperienza in Zambia. Abbiamo definito il programma, gli obiettivi, i percorsi, gli incontri che saranno necessari e inviato decine di comunicazioni via mail per cercare di abbreviare i tempi del nostro lavoro conoscendo bene alcune lentezze tipicamente africane e sapendo che non tutto è a portata di mano.

Cercherò di aggiornare ogni sera questo blog con un minimo di approfondimenti e riflessioni (connessione internet permettendo) e per dare notizie agli amici che avranno la pazienza di leggerlo. Comunque ci sarà giornalmente un post su Facebook.

Il 19 settembre si parte da Roma con uno scalo di tre ore a Adis Aveva per arrivare il Giorno 20 alle 14.30 a Ndola, capoluogo  della Provincia del Copperbelt  (1.300 mslm, 140.000 abitanti) dove terremo subito il primo incontro con la superiora provinciale delle Suore Francescane di Assisi, la congregazione con la quali cooperiamo. Da li a Luanshya (95.00 abitanti) la città dove si trova “Dagama Home” (la casa che ci ospita)  sono 30/35 km che si percorrono in 1 ora per una strada asfaltata ma intensamente trafficata.  E poi, e poi vi saprò dire.

Sicuramente ci aspettano le strade di terra rossa che traversano le foreste tra un villaggio e l’altro, il cielo con la mia Croce del Sud ed il sorriso di centinaia di bambini in estrema povertà, che non hanno nulla oltre ad una immensa capacità di sorridere e donare amicizia, ballando, cantando e correndo dietro un improbabile pallone costruito con buste de plastica sapientemente schiacciate e legate.

I miei compagni di viaggio (Alessandra, Giulia, Davide e Claudio) sono molto diversi uno dall’altro ma hanno un denominatore comune: una grandissima generosità. A me rimane il privilegio di poter usufruire in pieno della loro amicizia.