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| Sanvador Allende e Fidel Castro a Santiago del Cile |
Mi
inchino davanti a te compagno Fidel.
Nel
1971 sono stato per un mese a Cuba come componente della prima delegazione di
giovani cileni che, invitati dal Comandante, visitava l’isola. Eravamo i responsabili
delle organizzazioni giovanili dell’Unità Popolare che sosteneva il Presidente Salvador
Allende. Fidel ci ha ricevuto, dato il benvenuto e parlato per 6 ore della Sua rivoluzione e delle sue
opinioni sul Cile. Un “torrente” di
teoria e pratica rivoluzionaria proposta e messa lì come tema di discussione,
una enorme vitalità nella difesa delle Sue idee, un’incommensurabile capacità di analisi dei
problemi dell’America Latina e dei suoi nemici, una memoria mostruosa, una
profonda conoscenza della storia del sub continente americano e non solo.
Consigli pochi e dati con grande delicatezza, un grande rispetto per quelli che
lui considerava la futura classe dirigente del mio paese, un “diluvio” di
carisma. Noi: un gruppo di giovani che
con generosa fiducia credeva nell’esperienza democratica e rivoluzionaria di
Salvador Allende lo guardavamo con la soggezione e il rispetto che meritava il
leader di una diversa speranza per il nostro continente. Ecco il mio ricordo. Finito l’incontro ci presenta suo fratello
Raul (allora Ministro della Difesa) con il quale per 8 giorni abbiamo visitato
tutti centri di formazione delle forze armate cubane. In uno di questi, all’ingresso,
ci hanno regalato la divisa da campo dell’unità che visitavamo ed io ebbi la “brillante”
idea, condivisa dai miei compagni, di indossarla.
Vengono scattate delle fotografie insieme a Raul , altri ufficiali e reclute
davanti ad un carro armato (cimelio dell’invasione della tristemente famosa “Baia
dei porci”). Una foto viene pubblicata dal giornale della destra cilena “el Mercurio”
con una didascalia: “Giovani di Unità Popolare in addestramento militare a Cuba”.
Passò il tempo, arrivò il colpo di stato ed io non sono rimasto a spiegare ai
servi del tiranno Pinochet che di addestramento
militare non si trattava… sono andato in esilio, sono arrivato in Italia.
In
questi giorni verranno spesi quintali di inchiostro e decina di ore televisive
per parlare di Fidel, sicuramente dovremmo ascoltare i “Mieli” i “Luttwak” ed è
probabile che diano perfino la parola agli “Sgarbi” o ai “Renzi” e ne dovremo sopportare
parecchie. Non credo che si sforzeranno a raccontare di cosa era Cuba prima
della rivoluzione, né di cosa è oggi il
suo sistema sanitario, la sua educazione, le sue università, di cosa fu veramente la guerra fredda o del
numero di tentati omicidi che la Cia ha organizzato per sopprimere
Fidel. Lo chiameranno semplicemente “dittatore”,
ma la cosa è come speso accade un pizzico più complicata. Il tutto sarebbe molto semplice, basterebbe
riproporre il discorso con il quale il Comandante diede il benvenuto nell’isola
a Giovanni Paolo II, possibilmente con una migliore traduzione e senza i commenti di Vespa, ma non credo che
qualcuno lo farà.
Io,
moderato e fin quando è stato possibile socialdemocratico , mi inchino davanti
a te con profondo rispetto compagno Fidel e dico insieme al tuo popolo: “Hasta
la victoria siempre, Comandante!”
